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La pazza del Segrino

di Ippolito Nievo

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i libri di brianze




Il piccolo lago
dei grandi scrittori

Incredibile quanta e quale letteratura abbia lambito le sponde del Seegrün: così il sommo ingegnere Carlo Emilio di Longone soleva chiamare il verde specchio d’acqua all’imbocco della Valassina.
Qui il romanticismo ottocentesco di Nievo e Fogazzaro - anche Malombra è ambientato sul Segrino - ha passato il testimone alla dolorosa cognizione del ventesimo secolo, nelle insuperate e, forse, insuperabili pagine di Gadda.
Ci scappa un sorriso leggendo delle terre insubri come luoghi abitati da popoli sì industriosi ma alquanto poveri di cultura: se non di spirito. E pensiamo pure al vicino lago di Pusiano: a Parini , a Segantini...
“Milano divenne il centro del movimento rinnovatore degli studii in Italia, né sapremmo così a colpo d’occhio e senza speciale indagine indovinarne il perché, ove non fosse merito o del caso che fece nascere Parini lì intorno e non altrove, o di quelle reliquie di vitalità civile ed economica che furono ravvivate da Beccaria e da Verri”. Così Nievo in Studi sulla poesia popolare e civile massimamente in Italia (1854).
Che altro dire. Continuando la nostra passeggiata nello straordinario Ottocento letterario lombardo-veneto, offriamo ai lettori curiosi, dopo De Marchi e Ghislanzoni, questa novella di Ippolito Nievo, fino ad oggi “nascosta” in autorevoli raccolte rivolte perlopiù agli studiosi italianisti.
Sperando che i famosi venticinque lasciatici in eredità dal Don Lisànder non si intristiscano troppo, sotto l’effetto del cupo Segrino.

Associazione culturale Brianze


Curiosità e entusiasmo sono gli elementi apparentemente semplici ma efficaci che animano l’interessante iniziativa di riedizione di scritti dell’Ottocento letterario lombardo-veneto, lo “straordinario” Ottocento letterario lombardo-veneto, come giustamente lo definiscono gli amici di Brianze.
E se curiosità e entusiasmo sono negli individui dati caratteriali, attinenti alla sfera dell’emozione, del sentimento, dell’energia soggettiva, quando si esprimono come surplus qualificante di un’iniziativa culturale denotano altro: capacità di progettazione, visione dinamica di temi e percorsi, ricettività intellettuale.
Brianze è un ottimo osservatorio per l’area di riferimento, ne coglie problemi d’attualità culturale, economica, civica. Presenta inoltre sistematicamente interventi dedicati alla storia, alla letteratura, all’arte, alle tradizioni popolari: è difficile non tradire l’accuratezza e la sistematicità del lavoro di ricerca che orienta la rivista stendendo un semplice elenco dei temi trattati.
Perché l’idea di ricerca costituisce evidentemente una responsabilità sentita, un impegno assunto con il lettore, cui viene rivolto un invito discreto: leggimi, e la tua curiosità sarà soddisfatta, anzi rimessa in moto dalle informazioni, dagli spunti che ti offriranno queste pagine.
Tale gentile seduzione accompagna anche “I libri di Brianze” e questo racconto, il terzo pubblicato nella serie, intrigante fin dal titolo che lo lega strettamente a uno dei luoghi rappresentativi della nostra terra di laghi. Ed è una seduzione amplificata da una speciale attrattiva, quella di rivedere luoghi familiari, ormai nel repertorio delle nostre immagini archetipiche, rianimati dallo sguardo e dalla vivacità creativa di uno scrittore eminente.
Siamo lieti di rinnovare a Brianze il nostro sostegno per questa iniziativa che coincide felicemente con gli obiettivi che l’Assessorato si propone, di promozione cioè della cultura in uno stretto e serio legame con il territorio, la sua storia, le sue vicende sociali, i suoi scenari, dando il benvenuto a questa piccola pubblicazione, amabile fin nella sua delicata veste grafica, e aspettando con interesse il prossimo passo.

Edgardo Arosio
Assessorato alla Cultura
Provincia di Como



Informazioni 0362.95589 - redazione@brianze.it



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Ippolito Nievo nasce a Padova il 30 novembre 1831.
Figlio del magistrato mantovano Antonio e della patrizia veneziana Adele Marin, discendente dei nobili Colloredo, trascorre l’infanzia tra Mantova, Udine e il castello avito a Montalbano del Friuli. Destinato dal padre alla professione notarile, nel 1851 si iscrive alla Facoltà di Legge a Pavia, laureandosi infine a Padova nel 1855. Appena laureato, si rifiuta di prestare giuramento di fedeltà all’impero asburgico, ritirandosi nel castello di famiglia, a diretto contatto del mondo contadino. Qui inizia a scrivere le novelle “campagnuole” e il primo romanzo: Angelo di bontà (1856). Denunciato per vilipendio dalle forze di polizia, è costretto a recarsi a Milano. Dove vive un periodo di febbrile e straordinaria attività.
In due anni, scrive i romanzi Il conte pecoraio (1857) e Il barone di Nicastro (1857), le tragedie Spartaco (1857) e I capuani (1857), Le confessioni di un italiano (1858) e i versi raccolti ne Le lucciole (1858).
Nel 1859 è la guerra.
Nievo si arruola nei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, combattendo a Varese e San Fermo. L’anno seguente partecipa all’impresa dei Mille, in qualità di colonello e tesoriere. Di ritorno dalla Sicilia con tutti gli incartamenti relativi alla contestata gestione economica della spedizione, la notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, lo scrittore-soldato scompare tra i flutti del Tirreno nel misterioso naufragio del piroscafo “Ercole”.


In copertina:
Caspar Friedrich, “Donna al tramonto del sole”,
Olio su tela, Essen, 1818

All’interno:
disegni di Alessandro Greppi


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“L’autunno venturo
, se vi muove il desiderio d’una gita per quelle bande, o festosi villeggianti della Brianza, non ispaventatevi d’un nome che ricorda, a quanto si dice, la storia d’una principessa del mondo antico morta lì presso di crepacuore, e ricordatevi di visitare il laghetto del Segrino. Se mai sulle sue rive incontraste due belle donnine, l’una rosea e bionda come un angiolino di Paolo Veronese, vestita modestamente da damina campagnuola, l’altra bianca e melanconica dagli occhi neri e soavi, acconciata alla contadinesca, salutate di cuore a nome mio la Camilla e la Celeste”.
Così Ippolito Nievo chiude La pazza del Segrino, la breve novella campagnola ambientata lungo le rive della piccola e verde bacinella adagiata nelle prealpi lariane, dove “piramideggiano erti e nebbiosi i così detti Corni di Canzo”.
Celeste, la pazza, è una emanazione del Segrino: è una creatura che pare trovare in quel lago senza increspature una risposta al suo misterioso modo di guardare le cose.
La “bell’acqua”, richiamo irresistibile per Celeste, è la cifra di una bellezza imperfetta che è anche idealità morale...

Brianze


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Prefazione



Ippolito Nievo concepisce il progetto di un Novelliere campagnuolo tra il 1855 e il 1857, durante il periodo di esilio volontario presso il castello di Colloredo, in Friuli.1 Il gusto per la ‘novella campagnola’ si diffonde in Italia e particolarmente nel Lombardo-Veneto verso la metà dell’Ottocento dietro l’esempio di George Sand. Il racconto è inoltre pratica ben nota a tutti gli scrittori di quei decenni - da Caterina Percoto a Luigi Capuana - che si servono di una misura narrativa ‘breve’ per sperimentare la loro poetica, la loro visione della società e della storia. La ‘novella campagnola’ è un vero e proprio genere, un atteggiamento della letteratura del tempo, che decide di scegliere soggetti e casi nel territorio degli umili. L’ambiente rurale dove Nievo ambienta tutti i quadri del suo Novelliere è infatti un mondo moralmente intatto, dove la natura non ha ancora rotto il suo patto con l’uomo e la letteratura può essere strumento di educazione.
Celeste è la ‘pazza del Segrino’, una giovane contadina di fragile emotività che trascorre le sue giornate in riva al lago, che solo sembra offrirle le poche risposte di cui ella ha bisogno per vivere. In seguito alla morte della madre Celeste viene accolta da alcuni amici, tra cui Camilla e Giuliano. Nievo sposta rapidamente i riflettori sulle difficoltà del matrimonio tra questi due giovani, innamorati divisi da interessi economici, differenze sociali e piccoli malintesi. Giunge ad appianare la situazione già compromessa il solito imprevisto di segno positivo, che permette al sentimento di ignorare le ragioni di classe. La formula è nota: lo scioglimento degli impedimenti libera la via al matrimonio di Camilla e Giuliano e permette anche alla povera Celeste di raggiungere un proprio equilibrio. L’intreccio procede a ritmo serrato, dando vita con energia alle singole scene, che si susseguono rapidamente. Il Segrino, il lago che «attragge tanto l’animo in sé, da farlo quasi partecipe della sua vita misteriosa», fa da sfondo all’intera vicenda; è anzi l’autentica sorgente da cui personaggi e ambiente della novella vengono illuminati. La pazza del Segrino si apre infatti con la descrizione del paesaggio lacustre, che incalza da subito l’attenzione del lettore con un tono antilirico e leggermente inquieto. Il Segrino, seppur «serrato quasi d’ogni parte da monti acuti e cenerognoli, de’ quali l’altezza non è nemmen tale da toccare il bello del sublime», è infatti il custode di emozioni privilegiate, di segreti che si lasciano comunicare solo a chi lo sa osservare con occhi profondi. Nievo dipinge un angolo di natura negato a una bellezza spettacolare e terribile, al «sublime» di romantica memoria (ma romantica è ancora, in fondo, la descrizione di questa natura ‘difficile’): un luogo capace però di restaurare un’atmosfera morale semplice, vicina alle piccole cose.
Celeste è un’emanazione del Segrino: è una creatura che pare trovare in quel lago senza increspature una risposta al suo misterioso modo di guardare le cose. Il Segrino si rivela allora il vero protagonista del racconto. La bell’acqua è un richiamo irresistibile per Celeste, una voce nascosta di cui partecipa lei sola; un’immagine verso cui, dopo il matrimonio e la tragedia sfiorata del suicidio, la giovane riesce ad attirare anche Camilla, alter ego femminile della novella. La bell’acqua del Segrino è la cifra di una bellezza imperfetta che è anche idealità morale. L’epilogo della novella ritrae Camilla e Celeste che passeggiano lungo il lago, «l’una rosea e bionda come un angiolino di Paolo Veronese, vestita modestamente da damina campagnuola, l’altra bianca e melanconica dagli occhi neri e soavi, acconciata alla contadinesca», in un clima rischiarato da una natura benevola. L’idillio è la misura di ogni brano del Novelliere campagnuolo; rappresenta un mondo rurale moralmente ispirato. L’«ideale» entra nelle case della campagna lombarda, come già era stato per Renzo e Lucia; trova i suoi attori non tra gli eletti della poesia, ma tra gli umili di una prosa quotidiana dell’esistenza. Tra Manzoni e Nievo qualcosa era però cambiato e quest’ultimo, percorrendo la stessa linea di responsabilità civile, si avviava a sperimentare un maggiore realismo. L’ideale veniva assorbito nella descrizione di un popolo vivo, fotografato con il suo ambiente e il suo codice espressivo. Nievo vive, d’altra parte, in un momento in parte diverso da quello in cui aveva agito Manzoni. La letteratura, vestita di un progressismo ormai sempre più minacciato alle radici (quanto avrebbe tardato Verga?), doveva dare voce alla nazione, all’Italia cercata e sperata. La biografia di Nievo si concluderà proprio con il sacrificio estremo a quest’ansia di azione, a un’utopia nazionale che nutre le lettere tanto quanto la vita: le Confessioni di un italiano saranno dunque il suo testamento spirituale. Francesco De Sanctis, che di quell’utopia è forse il maggiore profeta, aveva auspicato una letteratura che fosse «storia morale d’Italia», che esprimesse un mondo etico al servizio della nascente realtà politica. Per questo l’ideale di Manzoni, ambientato in un altro scorcio di Lombardia, riceveva ora con Nievo alimento dagli uomini e dalle donne che avrebbero dato vita all’Italia: protagonisti semplici, immuni dalla logica borghese e vicini al mondo da cui hanno imparato il loro codice morale. Celeste non è, come Lucia Mondella, personaggio di un passato continuamente calibrato sul presente di chi scrive: «né crediate - dichiara Nievo in apertura - ch’io imprenda a narrare un’istoria vecchia, giacchè parlo dell’agosto ora passato». Nievo propone con questi brani ‘campagnoli’ un universo di valori (quello rurale, appunto) direttamente catturato dal presente, osservato e poi registrato per offrire un esempio al lettore.
La pazza del Segrino è tra i brani più sinceri del Novelliere campagnuolo. Questa raccolta colloca provvisoriamente Nievo in quella ‘linea lombarda’ che aveva già in Parini, Giusti, Manzoni e Porta i suoi protagonisti: uomini anzitutto impegnati a offrire ad altri uomini una lezione sul presente. Nel mondo puro del Novelliere e soprattutto nelle acque del Segrino Nievo sarebbe riuscito, ancora per qualche anno, a leggere la rassicurazione di un presente e di un futuro ricchi di progetti, di energie per l’Italia e per la letteratura italiana.

Valentina Marchesi
Si occupa di letteratura italiana moderna e contemporanea
presso l’Università Cattolica di Milano

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