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IL SASSO E ALTRI RACCONTI
prefazione di Andrea Vitali

di Leone Silva

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i libri di brianze



Breve autobiografia

Barbone disordinato e misantropo dotato di nasone, l’artista Leone Silva vanta l’esistenza fin dal ’75 e prima o poi muore. Amministratore delegato di un’epoca, non fa eccezione a quest’abitudine dei sommi di dar grattacapi alla zecca. Già ci si confonde perché di solito è la zecca a dar prurito, ma la fattispecie riguarda il problema che più si è sommi e più si ha grosso il naso, così uno ti voleva mettere la faccina sulla moneta ma l’usanza è il di profilo e così o che non ci sta il naso o che non si capisce che eri tè perché è troppo piccola la faccina: non è che uno fa delle monete grossissime apposta per farti un piacere. Ma fa niente. Se c’è una cosa che egli non sopporta, è la gente che mastica rumorosamente. Se ce ne sono due, la seconda è l’umidità. Se ce ne sono tre, la terza sono le donne con i tacchi rumorosi. A dire il vero ce n’erano quindici, ma lasciamo stare. La finora opaca, ma tutta da smerigliare, carriera letteraria del Leo ha inizio nel lontano 1992, anno ricordato per Bugno Chiappucci e Leuro, con questo brillante ed evocativo poemetto: “viva la figa!” Ma la sua prosa incalzante benchè circonvolta raggiunge la vetta qualitativa nel ’96, quando l’artista scopre il bere troppo. Solo che si è dimenticato la biro ed è dovuto tornare giù. Rimanendoci. Ritagliatosi con le forbici un suo spazio nei bassifondi, sviluppa uno stile innovativoccio basato sullo scrivere abbastanza male e le parolacce, tra cui spiccano cazzo, merda, vaffanculo e, soprattutto, l’ormai famoso sebbene ignoto neologismo “pesguènchio babugimòrio”. Bello, no? Insignito nel 2003 di uno Scribacchiozzo d’oro e un Grafomanone elite e un Prix casciabal e un Biro biro paginone, tutti premi letterari inventati da lui per prendere sonno, nel 2004 prende due mosche con uno schiaffo solo ma non ci sono testimoni e nessuno ci crede: segue depressione. Uscito finalmente da questo periodo di cacca, decide di accantonare la letteratura per un periodo di sei anni che dedicherà a scopare. Nel 2010, niente. Poi c’era il duemila e 11, nel corso del quale l’artista ha uno scatto d’ira e compone una storia scritta bene con uno stile rinnovato dove a prendere il sopravvento è l’uso della parolaccia palle, finallora in ombra, e muoiono tutti. Memorabile la pagina 72: c’è scritto palle. Ma un sacco di volte, eh: almeno dieci. Gli americani si chiesero l’un l’altro: “What do you think about la parolaccia palle?” Se qualcuno vuole mandargli dei soldi così, può.
Bon.
Leone Silva



Prefazione

Non amo le prefazioni. Quasi sempre ne posticipo la lettura e spesso, poi,mi dimentico del proposito fatto. Le poche volte che mi hanno chiesto di scriverne una ho tentato di scantonare. Quando non sono riuscito a farlo ho impostato il mio scritto lasciando libera la fantasia di rincorrere immagini evocate dalle pagine lette e soprattutto di rincorrere la figura dell’autore alle prese con le sue idee.Sono giunto a immaginare quanto fosse alto, se magro o grasso, fumatore o meno, quali abitudini alimentari potessero produrre le cose scritte, quali abitudini quotidiane lo avvicinassero o allontanassero dalla pagina, biro, matita o computer in mano.Ne sono uscite immagini accattivanti che, a volte, si sono infrante contro la realtà. Meglio avrei fatto, mi sono detto in quelle occasioni, a non soddisfare la curiosità di conoscere personalmente l’autore e altrettanto bene avrei fatto a continuare nel percorrere con la fantasia i luoghi della sua scrittura.Ci troviamo di fronte qui a un caso particolare, di scrittore che vive in una grotta e che della grotta ha fatto il suo personale osservatorio del mondo che descrive. Tra l’altro anche il nome non permette di coltivare una serena tranquillità in caso di tentativi di approccio. Mi sento di consigliare, volendo obbedire al richiamo di insane curiosità, l’uso di una torcia per illuminare l’antro dello scrittore dove la modernità è entrata in quanto idea ma non pare invece nella sua accessorietà.Prima però, prima di affrontare l’incognito, è necessario buttare un occhio sulla produzione che segue a queste magre righe.Comunque sia, chi ha intenzione di incontrare il Leone in grotta, sappia che l’accentazione aleatoria è voluta dall’autore, così come eventuali presunti refusi o calembour.Questo sia detto e tenuto in debito conto quale avviso.Dopodiché, ognuno è arbitro del suo destino.

Andrea Vitali
(maggio 2014)


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