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Il Lambro torna a scuola
1977-2017



1) Tutto nasce dalla "scoperta" di un libro edito da Paravia nel 1979 in cui si dedica grande spazio ad una ricerca effettuata dalla terza media sez A di Briosco nel 1977, relativa al fiume Lambro e al problema ambientale (Radiografia di un fiume e di un paese).

2) A distanza di 40 anni - quasi mezzo secolo - abbiamo pensato, come associazione culturale Brianze di ripetere questa ricerca, per confrontarla con la precedente. A tal fine abbiamo ovviamente coinvolto le Scuole Medie di Briosco, cui si sono aggiunte quelle di Cologno Monzese, grazie alla passione per il Lambro di un docente che ivi insegna.

3) Abbiamo poi coinvolto alcune associazioni della parte settentrionale del fiume (Associazione Canoa Pusiano), soggetti privati (Tecnologie Impresa Cabiate - Albergo Ristorante Il Corazziere Merone), la Cooperativa Aretè (storico Mulino di Peregallo a Briosco) e, naturalmente, comune di Briosco, Brianzacque e Parco Regionale Valle Lambro, che hanno contribuito economicamente alla realizzazione del progetto.

4)  In estrema sintesi, il progetto prevede la campionatura delle acque del Lambro effettuata dai ragazzi a Merone/Pusiano, Briosco e Cologno (nord- centro - sud). Il conferimento dei campioni in laboratori attrezzati per l'analisi (grazie alla disponibilità di Tecnologie Impresa), con la possibilità di un coinvolgimento diretto degli studenti. Prevediamo inoltre l'intervento di un esperto di analisi IBE (indicatori biotici), profondo conoscitore del Lambro.

5) Interviste a imprenditori, cittadini, rappresentanti delle istituzioni - sempre sul modello della ricerca 1977 - , per confrontare la mutata sensibilità ambientale di oggi con quella di allora.

6) La pubblicizzazione e la divulgazione di questa ricerca, con gli strumenti più idonei.

7) Una manifestazione finale di chiusura, presso il Mulino di Briosco, aperta a tutta la popolazione della valle, che potremmo definire "Festa del Lambro". Abbiamo poi invitato  gli ex ragazzi classe 1963 e i professori protagonisti della ricerca di allora per confrontarli coi ragazzi di oggi; mettendo a disposizione canoe ed accompagnatori per alcune discese lungo il fiume.


8) Il piccolo sogno sarebbe poi quello di istituire con le stesse scuole una sorta di osservatorio permanente delle acque del Lambro, ripetendo ogni anno analisi e divulgazione dei dati.

In sintesi estrema questi gli obiettivi principali del progetto:

1) Far riscoprire ai ragazzi il territorio in cui vivono e le sue problematiche.
2) Far interagire le scuole con soggetti privati e pubblici.
3) Sviluppare competenze multidisciplinari, da quelle scientifiche (campionature ed analisi) a quelle umanistiche (storia del fiume e comunicazione).
4) Creare un legame di memoria e conoscenza tra generazioni: le terze medie del 1977 e quelle del 2017.


Paolo Pirola
Associazione Culturale Brianze
3476109278




CARLO ANNONI

Capitolo scuro
"Requiem" per una biscia d'acqua
(dedicato a Luciano)

Il professore era andato a Salisburgo con la moglie, non per la musica (anche per quella, certo), ma soprattutto per imparare un po' di tedesco; aveva invece incontrato una carpa, la cui immagine torturata continua ancora oggi a torturarlo, come un ricordo di persona senza voce.
Fuori da una pescheria e quale sua attrattiva e insegna, il nobile pesce viveva in un contenitore di vetro spesso, a forma di parallelepipedo: vi era stato collocato piccolo, ma poi era cresciuto, diventando una grande regina. Lo spazio gli permetteva ora solo un moto perpetuo in un'unica direzione, quasi una pena infernale, dal basso verso l'alto e al contrario, al modo obbligato della ronda di un prigioniero. Inoltre, il continuo sfregamento degli occhi contro le pareti aveva generato un'infiammazione, presto trasformatasi in una crosta biancastra, una specie di visiera al contrario: la carpa, infatti, era diventata cieca. Il primo pensiero del professore era stato quello di riscattare l'animale e di ridargli la libertà: ma come il fiume della città, la Salzach, era molto lontano, così canali nei pressi non se ne vedevano. Dovette rinunciare e chiede perdono di questa sua colpa: se non riuscì a restituire alla pienezza dell'acqua la carpa cieca e ormai impazzita, può però continuare a fare racconto del suo enorme dolore e gli pare una memoria non povera di senso.
Questa storia ha una sua appendice in una passeggiata casuale tra i cascinali dell'autunno lombardo (l'anno era il medesimo, e la passeggiata ha preso senso nel continuo ripensarci). Vide i fagiani che si ritrovavano liberi nella bella pianura dell'Oltrepò pavese, perché la voliera, un'ora prima dell'arrivo dei cacciatori, veniva aperta: le galline dai bei colori erano uscite dalle porte a terra, non dalle porte della cupola di alluminio intrecciato, perché il loro volo era breve e pesante, inadatto a portarle in alto; e si erano disperse, ma non troppo, nei campi di stoppie: la stagione era infatti inoltrata e la terra cominciava ad appesantirsi per le piogge. Giunsero i cacciatori, vestiti da cacciatori e armati per la guerra. Incominciarono a sparare e, dopo mezz'ora, era tutto finito: i valorosi tornarono dal campo, con le prede penzoloni dalla cintura e gocciolanti sangue, mentre il guardacaccia richiamava con un fischietto acuto gli sventurati uccelli. Rientrarono tutti, quelli rimasti vivi, naturalmente, anche se feriti o storpiati, senza neppure avvedersi che la grande gabbia andava richiudendosi dietro e sopra di loro: era infatti arrivata l'ora del mangime serale. Così andava, e così va, suppongo, la vita del fagiano, giorno dopo giorno; e al professore, forse è troppo poco o è un pensiero bizzarro, quell'episodio parve, comunque, e continua a parere una piccola allegoria del male del mondo, dove il guardiacaccia tiene il posto vicario del Dio crudele che ci ha creato.
Qualcosa di ancor più terribile era però successo alcuni anni prima, in un pomeriggio pieno di un silenzio diverso da quello che lo accoglieva, familiare, e che si rifletteva in un'acqua stranamente torbida, quale il professore non aveva mai visto. Stava infatti nascendo l'anti-mondo della Brianza velenosa: improvvisamente cominciarono ad affiorare sulla superficie del Lambro, innumerevoli, senza un guizzo, senza un battere di coda, senza un ultimo salto: di colpo il fiume si riempì di corpi senza vita, di pesci che mostravano il loro ventre bianco, presto destinato a diventare marrone, per poi corrompersi e marcire. Il fiume continuava a scorrere lentamente, perché si era in estate e in periodo di magra; ma a vista d'occhio, in su e in giù, regnava la medesima morte per acqua.
In mezzo alla quiete perversa, il professore vide una biscia del Lambro, di color grigio, la quale era riuscita a scampare in parte dalla linfa tossica ed a cercare riparo nel prato. Le erbe alte l'avevano accolta, protettive come madri, per darle rifugio, ma il corpo disperato della biscia, coperto d'acido, strinava la vegetazione, spazzando selvaggiamente l'aria con la coda. Infine, essa cercò di sollevarsi per l'ultima volta, ma riuscì solo a vomitare il suo stomaco, una breve tela lisa, ed ogni movimento si spense: il professore aveva assistito immobile, come quando, nei sogni, chi sogna vorrebbe fuggire, ma lo ferma sulla soglia l'angelo sterminatore. Non rammenta più le ore successive, ricorda però di essere tornato il giorno dopo nel medesimo posto: della biscia, in un cerchio d'erba bruciata, era rimasto solo un po' di pelle, ormai senza più tinta alcuna, ma si udiva, invece, e fu tratto davvero inatteso, una musica appena accennata, dall'intonazione esatta e dal canto nitido che pure non andava oltre la trama di esili fili sonori, ma bellissimi. Il professore non sa decidere se si tratti di un soccorso dell'immaginazione alla sua grande pena o di una cosa davvero vista e udita; la racconta, in ogni caso: il tasso, la lepre, la quaglia e il martin pescatore, con un violoncello, una viola, due violini in miniatura stavano eseguendo l'adagio per archi op. 57, n.2, di Haydn. I loro minuscoli strumenti musicali avevano il fondo e il corpo costruito con le cortecce dei pochi grandi alberi rimasti, mentre le corde erano state donate dalle fronde dei salici nelle loro terminazioni più sottili e più elastiche. Stavano cantando la ninna-nanna allo strazio della biscia uccisa, e quasi non si avvertiva più il fetore della decomposizione che ormai dominava su tutti gli altri odori. Il professore guardò alla parte superiore del prato del Savio, come lo chiamavano lui e i suoi amici, da ragazzi, dove si apriva una fontana dall'acqua freddissima e limpida in modo indicibile, e vide le teste oscillanti della lupara e della brunèra: anche loro partecipavano alle esequie della biscia dalla grigia livrea, pur non essendo scese per discrezione (ma sapevano che gli altri animali le avrebbero accolte). Ad un certo punto parve al professore che persino il Padreterno, abbandonati i banchetti d'Etiopia, dove lo colloca già Omero, stupefatto e commosso, si sporgesse dal cielo ad ascoltare (e, del resto, anche quel tempo di quartetto di Haydin è una prova della sua esistenza, se mai esistesse per davvero). La musica dolce cantava, e ancora e ancora, per poter raggiungere la consolazione, ma non fu possibile, perché la consolazione venne sconfitta, mentre su tutto regnò il puzzo della nientificazione: il tasso, allora, tornò a rifugiarsi nell'ultimo grano, la lepre corse via, in terra di letteratura ( "In Terra di Letteratura, / con la volpe e il fagiano, / vieni, dammi la mano: / là non esiste paura"), la quaglia zampettò rapida, prima di tornare a rifugiarsi nel Lied di Beethoven, quello dove canta a gola spiegata: Liebe Gott, danke Gott, lobe Gott, e il martin pescatore riprese la sua danza di ballerina con ali di uccello. Anche la vipera e la serpe nera della boscaglia, quando il professore alzò di nuovo la testa, erano tornate nelle loro tane.
Il giorno dopo, cosa successe il giorno dopo? Il professore dovrebbe porre un po' di limiti alle sue fantasticherie, ma egli crede davvero che esista una musica del mondo, la quale si rende udibile di quando in quando, come per un miracolo, in mezzo all'inferno che gli uomini formano, vivendo: gli parve così di sentire, sottovoce, appena percepibile, un nuovo commento della natura alla via crucis della biscia grigia del Lambro, un pianto sulla scena della morte, un suono d'organo, insomma, sorretto da lievi folate di vento, tra gli alberi del giardino della villa Morganti e il bosco della Broada. Il professore riconosceva la toccata, ma sapeva di non averla mai ascoltata; la ritrovò, con la stessa emozione, tanti e tanti anni più tardi, in una chiesa di Lucerna, come un pezzo all'improvviso di commento alla messa: uno spartito d'organo che non si trova e di cui non c'è, dunque, nome (e, del resto, si sa che i nomi non rimandano a nulla e che anche il nome di Dio non rimanda ad alcun Dio).






1977 - pubblicazione dati ricerca




2017 - raccolta dei campioni d'acqua

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