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l'Avvenire - domenica 17 febbraio 2002:

di Roberto Beretta
41 anni, brianzolo nato e abitante a Lissone, è redattore dell'inserto culturale Agorà del quotidiano Avvenire.

Le damigelle d’onore del cinema italiano si chiamano Nonna Speranza e signorina Felicita. Altro che le solite e stantie «buone cose di pessimo gusto» – pappagalli impagliati «ed il busto di Alfieri» – con cui sono obbligate a convivere da decenni nelle antologie: le due madame piemontesi erano in spolvero
da «notte degli Oscar» già ai primi del Novecento, proiettate verso le
meraviglie del cinematografo da un imprevedibile e iper-tecnologico
«guidogozzano».
Già, proprio il poeta che rimò per primo «Nietzsche» con «camicie» e che fece
scandalo lodando gli amori ancillari, era anche un precursore della decima musa:
autore, sceneggiatore, fors’anche regista e – di sfuggita – attore; come
dimostra un rarissimo e breve spezzone fortunosamente ritrovato e il cui
restauro viene presentato domani sera. Soggetto della pellicola: nascita, vita,
sviluppo e svolazzamento di una farfalla macaone. Del resto, non fu Guido
Gozzano l’entomologo appassionato e competente che dedicò un’opera – incompiuta
e postuma – alle farfalle?
Appunto. Si sapeva, inoltre, che il medesimo schivo letterato, in coppia col
parente Roberto Omegna – un vero precursore della filmografia nazionale – aveva
più volte esercitato la cinematografia, e non solo per diletto: nel 1911 i due
avevano vinto addirittura un premio di 5 mila lire al concorso di
documentaristica dell’Esposizione universale di Torino, con un metraggio
dedicato proprio alle farfalle. Una parte di quel film è conservato al Museo del
Cinema nella Mole Antonelliana; ma alla pellicola manca esattamente la sequenza
del macaone, che ora riprende il volo dal sottoscala di un vecchio cinefilo
milanese e potrebbe configurarsi addirittura come il primo documentario
naturalistico del cinema italiano.
Il ritrovamento è casuale: si tratta di una precoce bobina cinematografica, il
cui originale è ora perduto ma che fu trasferito su nastro tv nei primi anni
Ottanta. Durata nemmeno due minuti, colori dipinti a mano, cartelli didascalici
in francese, titolo «La farfalla Macaone. La vita delle farfalle»; il tutto in
pessime condizioni di conservazione. La cassetta càpita nelle mani competenti di
Attilio Mina, docente di fotografia e cinema all’Istituto d’arte di Giussano
(Mi): non è facile restaurare le ali di una farfalla, nemmeno se è di
celluloide, tuttavia il professor Mina non è nuovo a queste imprese. Con
infinita pazienza e ottima attrezzatura i suoi alunni passano al computer
fotogramma su fotogramma: ripristinano i colori, puliscono i graffi
innumerevoli, eliminano le parti illeggibili. Più di 100 ore di lavoro per un
«restauro digitale» i cui frutti saranno visibile anche via Internet
(www.brianze.it) e che domani alle 21 verrà presentato presso la sede del Parco
Valle del Lambro a Triuggio (Mi), essendo stato inserito nell’ambito del
concorso scolastico «Se fossi una farfalla», organizzato con la rivista
<+cors>Brianze<+tondo>.
Ma come si è giunti all’attribuzione dello spezzone a Gozzano? Beh, anzitutto
non erano molti gli italiani che nel 1910 (i Lumière avevano spento la lampada
del primo proiettore nel 1895 a Parigi) fossero tecnicamente in grado e avessero
i mezzi economici per maneggiare una cinepresa. Uno di questi era certamente
Roberto Omegna, una sorta di avventuriero del grande schermo: regista e gestore
di sale, esportatore di film e operatore, molto smaliziato anche nei primi
«trucchi» cinematografici. «Fu capace – racconta Attilio Mina – di spacciare per
guerra in prima linea delle esercitazioni riprese in Val d’Aosta, e di fingere
riprese subacquee grazie a un acquario...». In effetti, anche nel filmato del
macaone si ritrovano alcuni espedienti notevoli per l’epoca; ad esempio il
«passo uno», ovvero la ripresa a scatti singoli distanziati nel tempo, per dare
il senso dell’aprirsi della crisalide, oppure un sorprendente «effetto
rallentato» del volo della farfalla: ottenuto come si fa per i cartoni animati,
muovendo gradualmente le ali di un esemplare morto e «spillato» su un fondo
d’argento che riflette bene la luce...
Questo mago del primo cinema, Omegna, era appunto parente (cugino o cognato, le
fonti divergono) di Gozzano e lo coinvolse varie volte nelle sue imprese; nel
film del 1911, ad esempio, pare che il poeta svolse la funzione di ideazione e
regia. Il letterato, in verità, mostrava un atteggiamento ambiguo verso i giri
di manovella: un poco se ne vergognava (ancora nel 1916 sosteneva che il cinema
«è una industria di celluloide, una cortigiana molto ricca che sa camuffarsi...
Per ora pellicola ed arte sono divise, inconciliabili sino all’ultima
molecola»), un poco ne era attratto: anche come non disprezzabile mezzo di
guadagno.
«Sono occupatissimo in cinematografia! – scriveva nel 1911 a una corrispondente
–. È uno strano mestiere che comincia ad appassionarmi e mi costringe ad
esplicare in un’industria lucrosa ed attivissima le poche attività del mio
spirito insanabilmente puerile. Ho fatto (tra le molte dozzinali necessarie)
qualche films bella». Non a caso gli ultimi anni della vita di Gozzano, e cioè
dal 1912 alla morte, avvenuta nel 1916 (<+cors>Cabiria<+tondo> di D’Annunzio è
del 1913...), saranno impegnati nella creazione di qualche soggetto
cinematografico, per esempio di una fiaba, e soprattutto nella sceneggiatura –
lui la chiamava «orditura fotogrammatica» – di un vero e proprio kolossal
musicato su san Francesco, che avrebbe dovuto essere interpretato ad Assisi
dalla star dell’epoca Ruggero Ruggeri e il cui primo ciak invece non fu mai dato
nonostante fosse già stato approntato il contratto e trovati i finanziamenti.
Ancor di più, tuttavia, Gozzano era esperto di lepidotteri: «Allevo una
straordinaria colonia di bruchi – scriveva nel 1908 all’amata Amalia
Guglielminetti –. Voglio ritrarne alcune osservazioni e molte belle fotografie a
commento di un libro di storia naturale che sogno da tempo: "Le farfalle"...
Vedrete che cosa nuovissima e bella. Immaginatevi che in una cassetta ho circa
300 crisalidi di tutte le specie, ottenute da bruchi allevati con infinita
pazienza, per settimane e settimane». Di certo fu il letterato-entomologo a
fornire la materia prima anche alle riprese sfarfallanti di Omegna; esiste un
messaggio del 1911 in cui Gozzano annuncia di essersi procurato le uova di
macaone e di apprestarsi a portargliele a Torino. Tra l’altro, questa è
un’ulteriore prova di paternità gozzaniana per lo spezzone appena ritrovato, nel
quale s’intravede la figura acefala di un uomo che mostra appunto all’obbiettivo
le uova dell’insetto: ed è bello immaginare si tratti di Gozzano stesso,
improvvisatosi «comparsa»...
In ogni caso, anche da altre fonti si evince che le «epistole entomologiche» cui
Gozzano pensava avrebbero dovuto essere "multimediali": testo e immagini. E
perché non un film, allora? L’ipotesi elaborata da Mina e da Paolo Pirola,
vicedirettore di <+cors>Brianze<+tondo>, è appunto questa: Gozzano e Omegna
avrebbero riutilizzato i fotogrammi naturalistici del loro documentario del 1911
per montarli in un nuovo film, nella prospettiva di «sonorizzarlo» coi versi del
poeta. Sia nella pellicola conservata a Torino, infatti, sia nelle liriche
lasciate incompiute, manca – del tutto e soltanto quella – la parte dedicata al
«papilio macaone»: che è la più sontuosa farfalla italiana e che pure era
prevista da Gozzano nel piano dell’opera in versi. Forse accadde che, la morte
del poeta lasciando incompiuti i due lavori, Omegna pensò di usare a sé il
frammento del macaone: come hanno ricostruito Mina e Pirola, lo rivendette
dunque a Ferdinand Zecca, il patron della Pathé Frère di Parigi (ovvero la più
mitica casa di produzione dell’epoca), il quale lo fece colorare con un
procedimento brevettato e lo dotò di didascalie per metterlo in commercio.
«Vedrai che la mia cinematografia resterà inedita», si lamentava Guido Gozzano
con la madre, pochi giorni prima di morire. Sbagliava, almeno in parte: quasi
cent’anni dopo, una pattuglia di ragazzi esperti d’informatica ha ridato ali al
«volo del Papilio sul trifoglio fiorito».