Alla ricerca della farfalla ottica

Se il cinema è una lingua, il restauro è certamente il suo dialetto. E dei dialetti ha tutte le qualità: è robusto, aggressivo, preciso, rotondo, efficace, autentico, talvolta ironico; sempre e comunque, bene o male, riconduce alle origini. Questa premessa ci pare doverosa oltre che suggestiva, poichè davvero è stata oltre che un personalissimo convincimento, la base più autentica di questo nostro lavoro che ci ha visti impegnati alla rivivificazione di uno dei primi (forse il primo in assoluto), certamente il meno visto ma importante per molti versi, dei documentari naturalistici del cinema italiano delle origini.
Andiamo con ordine. Il ritrovamento come avviene di solito in casi analoghi, è stato casuale, quasi involontario potremmo dire: coi nostri allevi dell'Istituto d'Arte di Giussano, eravamo sulle tracce di ben altro materiale filmico che ci premeva maggiormente a conclusione di una particolarissima ricerca sulla religiosità del cinema italiano delle origini. Tra la molta documentazione reperita in fondi ed archivi pubblici e soprattutto privati, ci siamo imbattuti in nitrati originali e riproduzioni in formato Beta (purtroppo molto spesso assai rozze o troppo amatoriali) di documenti "unici" desunti da originali consunti, in via di estrema dissoluzione ed ormai, supponiamo tristemente, definitivamente scomparsi tra le pieghe del tempo. Tra questi, un insieme sufficientemente organico di documenti filmici che potremmo definire come una specie di "fondo Omegna". Chi sia Omegna è chiaro ai cinefili ed agli appassionati della storia del cinema: più e molto di un "Cerretano" qualsiasi; tuttofare, fu un grande imbonitore d'immagini, gestore di sale cinematografiche, importatore ed esportatore di pellicole, regista, operatore di macchina, produttore. Come tutti gli uomini d'immagine d'oggi, fu sempre in prima linea sulla notizia e, molto spesso, in assenza di immagini e notizie, creatore e spacciatore di eventi visivi non proprio autentici ma sempre verosimili. Sono parte della storia del cinema le sue cruente riprese di guerra, la Prima ovviamente, in diretta dalla linea del "fuoco di paglia" delle lontanissime retrovie. Come non incuriosirsi con materiale di simile provenienza tra le mani?
Su tutto, la nostra attenzione si è soffermata su due brevi filmati a titoli e cartelli (didascalie) in francese, del primo decennio del secolo scorso; l'uno apparentemente a colori diretti, l'altro a colore monocromatico da imbibizione (immersione del nitrato in un bagno colorante uniforme, nello specifico azzurrognolo). L'origine non direttamente italiana ma francese dei filmati, non tragga in inganno: Omegna, savoiardo, commercializzava le proprie produzioni oltr'alpe, e in quegli stessi anni, a Parigi, Ferdinand Zecca (il più grande dei piccoli uomini della storia del cinema) direttore unico della casa di produzione e distribuzione Pathé Frère, faceva incetta di ogni specie di materiale filmico da destinare alla divulgazione popolare. Film(s) d'arte e d'elite (Christus, Cabiria, Gli ultimi giorni di Pompei, ecc), documentari rigorosamente scientifici (Gli effetti della lebbra, Autopsia d'un condannato a morte, ecc...), riduzioni letterarie e storiche (L'assassinat du Duc de Guise, Roman d'amour, Les deux orphelines, Les mistères de Paris, ecc...) ed altro ancora. Rimaneggiati (rimontati), ripuliti dell'eccesso, del ridondante, della patina di dotta ufficialità scientifica; insomma, del "troppo" o troppo poco comprensibile, prendevano la via della divulgazione di (quasi) massa sotto forma di piccole bobine brunite (cartucce o caricatori) segnate a rilievo dal marchio Pathé Baby e dall'ormai mitico logo del galletto di Francia.
Il materiale rinvenuto, per altro in pessime condizioni di conservazione, è una edizione de: La vita delle farfalle, sottotitolo in latino: La farfalla Macaone; un estratto non firmato (come d'uso d'altronde per Pathé) tratto, si suppone, come appunto sottintende la didascalia ufficiale da La vita delle farfalle, ormai ben più celebrato film di Guido Gozzano e Roberto Omegna, suo cognato. Per quel che ci riguarda vi è traccia di una cartolina postale del 20 luglio 1911 in cui Gozzano annuncia di essersi procurato i bruchi e di apprestarsi a consegnarli al cognato per la realizzazione "della film". In altra parte del carteggio Omegna-Gozzano vi è la descrizione del set di ripresa: un sottoscala buio (luogo ideale per l'allevamento di larve) illuminato da un unico pertugio ad anta. All'analisi anche superficiale dei fotogrammi recuperati, appare evidente da subito l'esatta corrispondenza della descrizione del set con le immagini: tutte riprese in un luogo oscurato illuminato soltanto da una piccola luce naturale proveniente dal lato immagine sinistro. In altra parte, tra queste stesse pagine virtuali, il lettore avrà la possibilità di meglio comprendere tanta presumibile certezza di attribuzione da parte nostra (gozzaniani per caso) nei riguardi degli autori dell'opera oggi reperita e ripristinata.


Fotogramma da film con luce da sinistra

Va da sé che il filmato originale, de La vita delle farfalle ben noto agli appassionati, dopo anni di dispute ha ormai una sua validità attributiva (ideazione e regia di Guido Gozzano, poeta e letterato; produttore e operatore alla macchina, Roberto Omegna), ed è conservato (in copia unica) presso il Museo del Cinema di Torino alla Mole Antonelliana. Raramente (molto raramente) ed in occasione delle celebrazioni gozzaniane, viene proiettato a ristretti gruppi di estimatori, appassionati, critici e letterati.
C'è comunque una curiosa particolarità: il film che si sviluppa lungo un itinerario gozzaniano fatto di poesie dedicate alle varie specie di farfalle (vedasi: Le Farfalle, Epistole Entomologhe, Gozzano), non porta traccia della più bella tra la farfalle italiane, la Papillio Machaonis. In assenza di una "laude specifica" dovuta purtroppo alla scomparsa di Gozzano, il filmato (ne è prova l'assenza nell'edizione museale di Torino) benché girato e montato con tecnica (ai tempi) d'avanguardia, fu con ogni probabilità escluso ed estrapolato dal corpus globale dell'opera.
Omegna, vi è da pensare, esportò e vendette a Pathé come "solo documentario", la bobina ormai non più contestualizzabile in altro ambito.
Il filmato fortunosamente pervenutoci è desunto quindi dal formato commerciale più "consumato" ed appetito dal pubblico del secondo decennio del secolo scorso, il Pathé Baby 9,5 a perforazione unica e interassiale tra i singoli fotogrammi (per gli appassionati del genere, trattasi del mitico "battinove"), ovviamente non sonorizzato, a cartelli didascalici (in francese), posizionati sempre in corrispondenza dell'ultimo fotogramma a multiplo nove della sequenza; d'onde il nome gergale di poco sopra. Un puntale meccanico del proiettore si inseriva automaticamente in una apposita tacca del nitrato, bloccando lo scorrimento della pellicola sul cartello didascalico per il tempo necessario alla lettura del testo in proiezione.


Il proiettore Pathé Baby

La durata della cartuccia originale, meglio, della sua riproduzione pervenuta in nostro possesso, è di circa un minuto e quaranta secondi per una successione totale di circa 1800/2000 singoli fotogrammi immagine. Il dato, apparentemente ozioso risulta assai utile nella comprensione della mole di lavoro svolto da alcuni studenti dell'Istituto d'Arte; mole sia pur ridotta se rapportata ai "lungometraggi" classici (i cosiddetti "le films") variabili tra i 1000/1500 metri di pellicola (un ora di proiezione) e più di 60.000 fotogrammi immagine.


Cartuccia film

In assenza di dati certi sulle scene tutte a colori del filmato, e non potendo desumere certificazioni oggettive dal materiale originario così mal ridotto e in copia da telecinematura su videocassetta, due appaiono le ipotesi più probabili sulla sua fattura tecnica. Potrebbero genericamente trattarsi di riprese dirette in Kinemacolor (su una pellicola in bianco e nero venivano registrate tre immagini contemporaneamente attraverso tre obiettivi identici, ciascuno munito di un filtro di colore diverso. Lo stesso procedimento era ripetuto in fase di proiezione. Camera da ripresa obbligata, il modello Chronochrome Gaumont), un sistema di cinema a colori diretti tricromici sperimentato in Inghilterra a partire dal 1906, affascinante proprio nella sua contorta applicazione e dai risultati del tutto assimilabili alla coloritura di un fototipo pastellato. Il sistema molto costoso e impegnativo, appare rapportabile e compatibile per datazione e per gli effetti cromatici desumibili dal filmato; ma, questo è il punto, assai lontano dalle disponibilità economiche di Omegna e Gozzano, sempre entrambi ansiosamente alla ricerca di fondi da sopravvivenza. Assai più probabile e pertinente, l'ipotesi di una accurata realizzazione a coloritura manuale post-produzione (metodo "pochoir" a stampigliatura o tampone con pigmenti trasparenti) brevettato dalla stessa Pathé agli inizi del secolo scorso. Un metodo creativo, altamente interpretativo e raffinato al punto da divenire "marchio" contraddistintivo di fabbrica della stessa Pathé e stilema del miglior periodo del cinema muto e a "colore" mondiale.
In sintesi: per ogni sequenza si ricavavano controtipi e dime in cartone ritagliato, ciascuna corrispondente ad una ristretta area di coloritura dell'immagine. Dopo "girato", stampato e controtipato, il film bianconero veniva "tamponato", picchiettato a tampone umettato con colori a base anilinica (trasparenti); foto per foto, sovrapponendo a registro le diverse dime, colmando così dei colori prestabiliti ogni area del fotogramma. Questa ipotesi di lavoro ci pare assai più probabile in considerazione delle richieste del mercato Pathé, e dell'altro filmato coevo di Omegna, di cui si è detto più sopra, interamente a "colore", imbibito d'azzurro mare anilinico. All'analisi a moviola digitale di ogni singolo frame, a noi è apparso evidente il deperimento immagine dovuto all'azione combinata della luce, degli sbalzi di temperatura e delle muffe sui coloranti anilinici impiegati, con evidente decolorazione e dilavamento degli stessi. In alcune scene il fenomeno (purtroppo usuale per i film d'epoca) aveva i tratti della desolazione: nel bruco tra il fogliame, ad esempio, ed in particolare, in chiusura, sulle ali spiegate del volo del Macaone.
Questa prima, fondamentale analisi è stata poi alla base di tutta quanta l'opera di restauro dei nostri allievi. Un restauro che come deve essere, è stato soprattutto conservativo e rispettoso dell'opera che si presume gozzaniana.
Per prima cosa il film è stato "catturato" e digitalizzato: in parole povere il segno immagine originale è stato convertito in un algoritmo a base numerica, per essere reso fruibile nell'apposito programma di elaborazione e montaggio film (Premiere). Successivamente nella moviola virtuale del (dei) computer della scuola sono stati identificati ed (purtroppo definitivamente) eliminati i fotogrammi illeggibili, troppo corrotti o irrecuperabili per degrado ("marcioni", definizione data loro dagli allievi). Su questa (nuova) base dopo una prima renderizzazione (salvataggio su base omogenea del filmato), si è provveduto ad apportare un uniforme grado di contrasto all'intera pellicola virtuale, in modo tale da conferire un più accettabile livello di leggibilità ad immagini troppo fruste e morbide.
A seguire sono stati eliminati tutti i cartelli didascalici (uno per ogni didascalia e/o titolo) e sostituiti con analoghe e soprattutto fedeli traduzioni in italiano. Inserito ciascuno di questi nell'esatta sequenza, si è provveduto a conferire loro il giusto tempo di lettura, intervenendo e (ovviamente) alterando il minutaggio generale del documento (due secondi di leggibilità per la prima riga di testo, un solo secondo per ogni ulteriore riga a seguire). La pulizia al frame, autentico punto di forza dell'intera operazione è consistita nel suddividere il filmato per singole scene o quadri omogenei (tanti pezzetti virtuali di film, posti l'uno accanto all'altro nel contenitore del software), non prima di averli ridotti al formato strip (esportabile da software a software).
A sua volta ogni singolo strip, tolto dalla moviola di montaggio è stato sottoposto a "foto-ritocco", fotogramma dopo fotogramma, uno per uno, utilizzando le infinite potenzialità di Photo Shop: cancellatura dei graffi (numerosissimi), rinforzo e ripristino cromatico (parziale ricoloritura), e ove possibile riquadratura delle immagini. Un lavoro quasi maniacale fatto di pazienza (tanta), di abnegazione di metodo e di più di un centinaio d'ore di lavorazione. L'assemblaggio finale e ordinato dei singoli strip rivisitati, dei cartelli, della giustapposizione dei crediti e di una non prevista (originariamente) partitura sonora; ci ha consentito l'ultimo definitivo salvataggio dell'insieme, consegnandoci il film così come, forse (vogliamo sperare) era in origine.


Uno studente dell'ISA al lavoro

Si è detto in apertura che il restauro altro non è che il dialetto di una lingua colta: "robusto e talora autentico e ironico"; ed è vero! Visionando con attenzione il materiale abbiamo visto l'invisibile ai più: i trucchi dei prestidigitatori di immagini; quello che l'insieme generale, l'atmosfera, le emozioni nascondono sempre alla vista. Sappiamo, ed ora in modo documentato, come sono state realizzate le sorprendenti riprese del volo rallentato della Macaone non "cronocinematografia veloce", bensì "passo uno": scatti singoli su una farfalla (ahinoi) "spillata", in cui le ali furono spostate in scansione successiva di movimento accoppiandole ad ogni singolo scatto della cinepresa. La giustapposizione dei fotogrammi ottenuti, la loro ripetuta reiterazione ricreava l'effetto "sequenza reale".


La farfalla "spillata"

Da ultimo, se ci è consentita, una considerazione generale e personale. E' stupefacente constatare come in noi, docente ed allievi, a prevalere su tutto non sia l'immodestia di un ritrovamento del tutto insperato, quanto, questo sì, la soddisfazione di essere riusciti a svolgere comunque nell'ordinarietà e nella straordinarietà della prassi didattica una impresa almeno inusuale. Su tutto prevale in noi il senso dell'essere parte ed artefici di un sogno multicolore, arioso e pulito; l'essere forse parte minimale di un progetto più grande e lontanissimo dal nostro lavoro: quello di contribuire un giorno alla riscoperta delle farfalle, le poche scampate ai campi di sterminio dell'inquinamento. Per noi sarebbe un po' rivivere l'infanzia, per i nostri allievi, vivere a nuovo una natura altrimenti negata nella sua completezza; e con essa una loro gioventù pulita.


Attilio Mina
docente di laboratorio multimediale presso l'ISA di Giussano